Di cosa si tratta?
La “Sundowning syndrome”, cioè la Sindrome del Tramonto, è un fenomeno molto comune tra le persone affette da Malattia di Alzheimer ma anche da altre forme di demenza: i familiari riportano la comparsa o il peggioramento di comportamenti aggressivi, confusione, disorientamento e altri disturbi verso il tardo pomeriggio, circa dalle 16 alle 20, e da qui l’associazione con il momento del tramonto.
Questa sindrome è nota nella letteratura medica già da oltre 80 anni, tuttavia ancora c’è tanto da capire a riguardo. Nel 1941 si parlava di “delirio senile notturno” (Cameron, 1941) facendo riferimento al generale peggioramento dell’agitazione (o anche alla comparsa di delirium) che insorgeva nel giro di un’ora tra i pazienti con demenza quando si trovavano in una stanza buia. Il termine “Sindrome del tramonto” (“Sundowning Syndrome) fu poi coniato negli anni 80 da L. K. Evans (Evans, 1987).
Nello specifico i disturbi maggiormente riportati sono:
e vengono descritti in una percentuale che va dal 2,5 al 66% dei pazienti. Ma in ogni caso possiamo considerarla molto comune e tra i sintomi maggiormente descritti dai familiari e dal personale di strutture assistenziali.
Ma perché avviene questo?
Le ipotesi non sono univoche. Più che altro è possibile affermare che il fenomeno abbia caratteristiche multifattoriali tra cui cambiamenti nel livello di glucosio nel sangue su base circadiana, nella temperatura corporea e della pressione. Ma sembra anche esserci una correlazione con i disturbi del sonno, con la percezione del dolore e l’associazione con altri disturbi cognitivi.
Tra le tante ipotesi sembra essere coinvolto l’ipotalamo, una piccola struttura cerebrale che svolge tantissime funzioni molto importanti per la nostra sopravvivenza tra cui la regolazione del ciclo sonno-veglia e dei ritmi circadiani, ma anche di controllo del comportamento in quanto regola anche la produzione di molti ormoni.
Come intervenire?
Premessa d’obbligo: ogni caso è unico. Per questo è necessaria una Valutazione Neuropsicologica accurata che tenga conto dei disturbi sia cognitivi sia comportamentali. Il colloquio clinico con la/le persona/e che si occupano del paziente è preliminare per una diagnosi accurata ed un inquadramento del singolo caso. Inoltre è importantissima la Visita Neurologica che potrà inoltre valutare la possibilità di introdurre una terapia farmacologica o modificare quella già in atto.
Detto questo,
il TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO sembra essere quello maggiormente raccomandato in letteratura. Alcune indicazioni generali che è possibile introdurre nella propria quotidianità possono essere:
Per quanto riguarda invece la Terapia Farmacologica non esistono linee guida strutturate. Alcuni studi sembrano evidenziare che un buon ritmo sonno/veglia possa ridurre l’insorgenza dei sintomi, quindi consigliando la riduzione di pisolini e l’assunzione di melatonina. In alcuni casi viene considerata anche la prescrizione di antipsicotici. Tuttavia, soprattutto in età avanzata, l’introduzione di farmaci è sempre da considerarsi accuratamente in quanto la polifarmacoterapia può addirittura peggiorare alcuni sintomi, per tanto è importante affidarsi ad uno specialista.